SRI AUROBINDO
“SAGGI SULLA GITA”
Parte II – Il Segreto Supremo
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DEVA ED ASURA
La difficoltà pratica del cambiamento dalla normale natura dell’uomo -ignorante ed incatenata – alla libertà dinamica di un essere spirituale divino sarà evidente se domandiamo a noi stessi, più da vicino, come la transizione dal funzionamento delle tre qualità – incatenato e caotico – all’azione infinita dell’uomo liberato che non è più soggetto ai tre Guna, possa essere effettuata. La transizione è indispensabile poiché viene chiaramente indicato, che egli ( Arjuna ) deve essere al di sopra oppure senza i tre Guna, trigunatita, nistraigunya. D’altro canto non viene indicato in modo meno chiaro, meno enfatico, che in ogni esistenza naturale qui sulla terra si trovano i tre Guna con la loro azione inestricabile, ed è stato pure detto che ogni azione dell’uomo, delle creature o delle forze, è soltanto l’azione di questi tre modi uno sull’altro, un funzionamento in cui uno o l’altro predomina ed il resto modifica le sue operazioni e risultati, guna guneshu vartante. Quindi come può esserci un’altra natura dinamica e cinetica o qualsiasi altro genere di azioni ? Agire vuol dire essere soggetti alle tre qualità della Natura; essere al di là di queste condizioni delle sue operazioni è essere silenziosi nello spirito. L’Ishwara, il Supremo che è maestro di tutte le sue azioni e funzioni, e le guida e determina con la sua volontà divina, è infatti al di sopra di questo meccanismo delle qualità, non toccato o limitato dai suoi modi; ma ancora sembrerebbe che egli agisca sempre attraverso di essi, che egli dia forma attraverso il potere dello Swabhava e attraverso il meccanismo psicologico dei Guna. Queste tre qualità sono proprietà fondamentali della Prakriti, operazioni necessarie delle forze di Natura esecutive che prendono forma qui in noi, ed il Jiva stesso è solo una porzione del Divino in questa Prakriti. Quindi se l’uomo liberato compie ancora le azioni, si muove ancora nel movimento cinetico, deve essere così che egli si muove ed agisce nella Natura e attraverso le limitazioni delle sue qualità, soggetto alle loro reazioni e non – fin quando le sue parti naturali persistono – nella libertà del Divino.
Ma la Gita ha detto esattamente l’opposto : che lo Yogin liberato viene svincolato dalle reazioni dei Guna e qualsiasi cosa faccia, comunque egli viva, si muove ed agisce in Dio, nel potere della sua libertà ed immortalità, nella legge del supremo eterno Infinito, sarvatha vartamano’pi sa yogi mayi vartate. Sembra che qui vi sia una contraddizione, una impasse.
Ma ciò accade solo quando noi ci leghiamo alle rigide opposizioni logiche della mente analitica non quando osserviamo liberamente ed in modo sottile la natura dello spirito e la spirito nella Natura. Ciò che muove il mondo non sono realmente i modi della Prakriti – questi rappresentano solo l’aspetto inferiore il meccanismo della nostra natura normale -. Il vero potere che muove è una Volontà spirituale divina che usa attualmente queste condizioni inferiori, ma è essa stessa non limitata, non dominata, non meccanizzata, come accade invece alla volontà umana per effetto dell’azione dei Guna. Senza dubbio, poiché questi modi sono così universali nella loro azione, essi debbono procedere da qualcosa di inerente al potere dello Spirito; ci debbono essere poteri nella Volontà-Forza divina da cui questi aspetti della Prakriti hanno origine. Poiché tutto nella natura inferiore normale è derivato dal potere spirituale superiore dell’essere del Purushottama, mattah pravartate; non viene in essere de novo e senza una causa spirituale. Qualcosa nel potere essenziale dello spirito ci deve essere da cui la luce e soddisfazione sattwiche, il dinamismo rajasico, l’inerzia tamasica della nostra natura derivano e di cui sono forme imperfette o degradate. Ma una volta che ritorniamo a queste fonti nella loro purezza, al di sopra di questa loro imperfezione e degradazione in cui viviamo, troveremo che questi movimenti si vestono di un aspetto piuttosto differente, appena iniziamo a vivere nello spirito. L’essere, l’azione, i modi dell’essere e dell’azione divengono realtà completamente differenti, molto al di sopra delle loro presenti apparenze limitate.
Perché cosa c’è dietro questo dinamismo turbato del cosmo con tutti i suoi scontri e le sue lotte ? Cos’è che, quando tocca la mente, quando si veste di valori mentali, crea le reazioni di desiderio, di lotta, di sforzo, errore della volontà, dolore, peccato, sofferenza ? E’ una volontà dello spirito in movimento, è un’ampia volontà divina in azione, che non viene toccata da questi fattori; è un potere – tapas, cit shakti – della Divinità cosciente infinita e libera, che non ha desideri, perché esercita un possesso universale ed un’Ananda spontaneo nel suo movimento. Non essendo logorata dallo sforzo e dalla lotta gioisce di una padronanza libera dei suoi mezzi e dei suoi oggetti; non essendo fuorviata da errori della volontà essa mantiene una conoscenza di sé e delle cose che è la fonte della sua padronanza e della sua Ananda, non essendo sopraffatta da dolore, peccato o sofferenza, essa possiede la gioia e purezza del suo essere e la gioia e purezza del suo potere. L’anima che vive in Dio agisce attraverso questa Volontà spirituale e non attraverso la normale volontà della mente non liberata : il suo dinamismo ha luogo grazie a questa forza spirituale e non per effetto del modo rajasico della Natura, precisamente per il fatto che non vive più nel movimento inferiore cui appartiene questa deformazione ma è ritornata alla natura divina, al senso perfetto e puro del dinamismo.
E di nuovo, che cosa c’è dietro l’inerzia della Natura, dietro questo Tamas che, quando è completo, rende la sua azione simile alla guida cieca di una macchina, ad un impeto meccanico che non osserva nulla ad eccezione del solco in cui viene messo a ruotare, non essendo neppure conscio della legge di questo movimento, questo Tamas che volge la cessazione dell’azione abituale in morte e disintegrazione, e diviene nella mente un potere dell’inazione e dell’ignoranza ?
Questo Tamas è un’oscurità che traduce erroneamente, possiamo dire, in inazione di potere ed inazione di conoscenza l’eterno principio di calma e riposo dello Spirito – il riposo che il Divino non perde mai, neppure mentre agisce, l’eterno riposo che sostiene la sua azione integrale di conoscenza e la forza della sua volontà creativa, sia là, nelle loro infinità, che qui, in una apparente limitazione delle loro operazioni e della loro consapevolezza di sé. La pace della Divinità non è una disintegrazione dell’energia o una inerzia vacua; manterrebbe tutto ciò che l’ Infinità ha conosciuto e fatto, raccolto assieme e conscio in modo concentrato, in un silenzio onnipotente, anche se il Potere cessasse dovunque – per un periodo – di conoscere e creare attivamente. L’Eterno non ha bisogno di dormire o riposare, egli non si stanca e non viene meno, non ha bisogno di una pausa per riprendersi e ricreare le sue energie esauste, poiché la sua energia è inesauribilmente la stessa, infaticabile e infinita. La Divinità è calma e a riposo nel mezzo della sua azione; e d’altra parte la cessazione della sua azione manterrebbe in essa il pieno potere e tutte le potenzialità del suo dinamismo. L’anima liberata entra in questa calma e partecipa dell’eterno riposo dello spirito. Ciò è conosciuto da chiunque abbia avuto qualsiasi prova della gioia della liberazione : essa contiene un potere eterno di calma. E questa profonda tranquillità può rimanere nel cuore stesso dell’azione, può perseverare nel moto più violento delle forze. Ci può essere un’impetuosa inondazione di pensiero, di azione, di volontà, movimento, uno straripante impeto d’amore, l’emozione dell’estasi spirituale esistente di per sé nella sua intensità più forte, e ciò può estendersi fino ad una gioia spirituale infiammata e impetuosa nelle cose e negli esseri del mondo e nelle vie della Natura, e comunque questa tranquillità e riposo rimangono dietro l’ondata ed in essa, sempre cosciente delle sue profondità, sempre la stessa. La calma dell’uomo liberato non è indolenza, incapacità, insensibilità, inerzia; è piena di potere immortale capace di qualsiasi azione, armonizzata alla gioia più profonda, aperta all’amore e alla compassione più profondi e ad ogni genere dell’Ananda più intensa.
E così anche al di là della luce e della felicità inferiori di questa più pura qualità della Natura, Sattva : il potere che assicura l’assimilazione e l’uguaglianza, la giusta conoscenza e la giusta distribuzione, una bella armonia, un equilibrio stabile, una giusta legge dell’azione, un giusto possesso e dà una così piena soddisfazione alla mente, al di là di questo fattore più alto della natura normale, ammirabile in sé stesso nella misura in cui procede e fin quando può essere mantenuto, ma precario, garantito da limitazioni, che dipende da leggi e condizioni, c’è nella sua fonte alta e distante una luce più grande ed una felicità libera nello spirito libero. Questa non è limitata né dipende da limitazioni, o leggi, o condizioni, ma è di per sé esistente ed inalterabile, non è il risultato di questa o quella armonia tra le forze in disaccordo della nostra natura, ma è la fonte dell’armonia ed è capace di creare qualsiasi armonia voglia. Questa è una forza di conoscenza luminosa, spirituale, e nella sua azione nativa, una forza di conoscenza diretta supermentale, jotih, non la nostra luce mentale modificata e derivata, prakasha. Questa è la luce e felicità della più ampia esistenza di sé, della conoscenza di sé spontanea, dell’identità intima universale, del più profondo scambio in sé, non di acquisizione, assimilazione, aggiustamento e laboriosa equivalenza. Questa luce è piena di una volontà spirituale luminosa e non c’è divario o diversità tra la sua conoscenza e la sua azione. Questa gioia non è la nostra felicità mentale più pallida, sukham, ma una profonda, concentrata, intensa beatitudine di per sé esistente, estesa a tutto ciò che il nostro essere fa, immagina, crea, un’estasi divina immobile, Ananda. L’anima liberata partecipa sempre più profondamente di questa luce e beatitudine e cresce in modo sempre più perfetto in essa, in modo sempre più integrale si unisce con il Divino. E mentre tra i Guna della Natura inferiore c’è un necessario squilibrio, una incostanza variabile di misure e un conflitto perpetuo per la dominazione, la più grande luce e felicità, calma, volontà di dinamismo dello spirito non si escludono tra loro, non sono in guerra, non sono neppure solamente in equilibrio, ma ognuna è un aspetto delle altre due, e nella loro pienezza sono tutte inseparabili ed una. La nostra mente quando si avvicina al Divino può sembrare che entri in una di queste ad esclusione delle altre, può sembrare ad esempio che realizzi la calma ad esclusione del dinamismo dell’azione, ma ciò accade perché noi ci avviciniamo in primo luogo attraverso lo spirito di selezione nella mente. Dopo, quando siamo capaci di elevarci anche al di sopra della mente spirituale possiamo vedere che ogni potere divino contiene tutti gli altri e possiamo eliminare questo errore iniziale. (1)
(1) Il resoconto dato qui delle forme spirituali supreme e supermentali dell’azione della Natura più alta, corrispondenti ai Guna, non viene dalla Gita, ma è introdotto dall’esperienza spirituale diretta. La Gita non descrive in dettaglio l’azione della Natura più alta, rahasya uttamam. Lascia che il ricercatore la scopra attraverso la sua esperienza spirituale. ( La Gita ) pone in rilievo la Natura dell’azione del temperamento alto del Sattva, attraverso cui questo mistero supremo deve essere raggiunto, ed insiste, al tempo stesso, sul superamento del Sattva e la trascendenza dei tre Guna.
Vediamo, allora, che l’azione è possibile senza che l’anima sia soggetta al funzionamento normale, degradato dei modi della Natura. Questo funzionamento dipende dalle limitazioni mentali, vitali e fisiche in cui siamo formati; è una deformazione, una incapacità, un valore erroneo o errato imposto su di noi dalla mente e dalla vita nella materia. Quando cresciamo nello spirito questo Dharma o legge inferiore della Natura è sostituito dal Dharma immortale dello spirito : c’è l’esperienza di un’azione libera immortale, di una conoscenza divina senza limiti, di un potere trascendente, di un riposo vasto. Ma ancora rimane il problema della transizione, perché ci deve essere una transizione, un procedere per gradi, poiché nulla nelle operazioni di Dio in questo mondo viene fatto con un’azione repentina senza basi o procedure. Noi abbiamo ciò che cerchiamo in noi, ma in pratica dobbiamo far sì che evolva dalle forme inferiori della nostra natura. (2)
(2) Così è dal punto di vista della nostra natura che ascende verso l’alto attraverso la conquista di sé, lo sforzo e la disciplina. Deve anche intervenire, sempre di più, una discesa nell’essere della Luce, della Presenza e del Potere divini per trasformarlo, altrimenti il cambiamento nel punto culminante ed oltre non può aver luogo. Ecco perché interviene, come ultimo movimento, la necessità di un dono di sé assoluto al Divino.
Quindi nell’azione dei modi stessi deve esserci qualche mezzo, qualche leva, qualche point d’appui, attraverso cui possiamo effettuare questa trasformazione. La Gita lo trova nel pieno sviluppo del Guna sattwico fin quando questo nella sua potente espansione raggiunge un punto in cui può andare al di là di se stesso e scomparire nella sua fonte. La ragione è evidente, perché Sattwa è un potere di luce e felicità, una forza che si dirige verso la calma e la conoscenza, e nel suo punto più alto può arrivare ad una certa riflessione, quasi ad una identità mentale con la luce e felicità spirituali da cui esso deriva. Gli altri due Guna non possono ottenere questa trasformazione – Rajas nella divina volontà dinamica o Tamas nella calma e riposo divini – senza l’intervento del potere sattwico nella Natura. Il principio di inerzia rimarrà sempre una inazione inerte del potere o una incapacità della conoscenza fin quando la sua ignoranza non scomparirà nell’illuminazione e la sua torpida incapacità non sia perduta nella luce e forza della volontà divina di riposo onnipotente. Solo allora noi possiamo avere la calma suprema. Quindi Tamas deve essere dominato da Sattwa. Per la stessa ragione il principio di Rajas deve rimanere sempre un’azione agitata, turbata, febbricitante o infelice poiché non ha la giusta conoscenza; il suo movimento natio è un’azione sbagliata e perversa, pervertita per effetto dell’ignoranza. La nostra volontà deve purificarsi con la conoscenza, deve arrivare sempre di più ad una azione corretta e luminosamente fondata prima che possa essere convertita nella volontà divina dinamica. Ciò di nuovo sta a significare la necessità d’intervento del Sattwa. La qualità sattwica è il primo mediatore tra la natura superiore e la natura inferiore. Infatti essa deve ad un certo punto trasformarsi o evadere da sé stessa e dissolversi nella sua fonte : la sua condizionata e derivativa luce che ricerca, e la sua azione accuratamente costruita devono cambiare nel libero dinamismo diretto e nella luce spontanea dello spirito. Ma nel frattempo un alto accrescimento del potere sattwico ci libera ampiamente dalla incapacità tamasica e rajasica e la sua propria incapacità, una volta che noi non siamo attirati troppo verso il basso dal Rajas e dal Tamas, può essere superata con una facilità di gran lunga maggiore. Sviluppare il Sattwa fin quando diviene pieno di luce, calma e felicità spirituali è la prima condizione di questa disciplina preparatoria della natura.
Questa, troveremo, è tutta l’intenzione dei capitoli rimanenti della Gita. Ma prima essa fa precedere la considerazione di questo movimento di illuminazione da una distinzione tra due generi di esseri : i Deva e gli Asura, perché il Deva è capace di un’alta azione Sattwica di trasformazione di sé, l’Asura non ne è capace. Dobbiamo vedere quale è l’oggetto di questa premessa e la precisa attinenza di questa distinzione. La natura generale di tutti gli esseri umani è la stessa, è una mescolanza dei tre Guna; sembrerebbe allora che in tutti ci debba essere la capacità di sviluppare e rafforzare l’elemento sattwico, volgerlo verso l’alto, verso le altezze della divina trasformazione. Che la nostra ordinaria direzione sia, effettivamente, verso il fatto di rendere la nostra ragione e volontà i servitori del nostro egoismo rajasico e tamasico, i ministri del nostro desiderio cinetico agitato e squilibrato o della nostra inerzia ed indolenza statiche auto-indulgenti, può solo essere, si potrebbe immaginare, una caratteristica temporanea del nostro essere spirituale non sviluppato, una rozzezza della sua evoluzione imperfetta, e che debba scomparire quando la nostra coscienza ascende nella scala spirituale. Ma vediamo effettivamente che l’uomo, almeno l’uomo al di sopra di un certo livello, cade in modo molto ampio all’interno di due classi : coloro che hanno una forza dominante di natura sattwica volta verso la conoscenza, l’auto-controllo, il fare-bene, la perfezione, e coloro che hanno una forza dominante di natura rajasica volta verso la grandezza egoistica, la soddisfazione del desiderio, l’indulgere nella loro forte volontà e personalità che provano ad imporre nel mondo, non per servire l’uomo o Dio, ma per il loro orgoglio personale, per la loro gloria e piaceri personali. Questi sono i rappresentanti umani dei Deva e degli Asura o Danava, gli Dei ed i Titani. Questa distinzione è molto antica nel simbolismo religioso Indiano. L’idea fondamentale del Rig Veda risiede in una lotta tra gli Dei ed i loro oscuri nemici, tra i Maestri della Luce, figli dell’Infinità, ed i figli di Diti, della Divisione e della Notte, una battaglia a cui l’uomo partecipa e che è riflessa in tutta la sua vita interiore ed azione. Questo fu anche il principio fondamentale della religione di Zoroastro. La stessa idea è importante nella letteratura più tarda. Il Ramayana è, nella sua intenzione etica, una parabola di un enorme conflitto tra i Deva in forma umana e i Rakshasa, tra i rappresentanti di un Dharma e di una cultura alti ed una forza grande e scatenata, una civiltà gigantesca dell’ego esagerato. Il Mahabharata, di cui la Gita è una sezione, ha come suo soggetto uno scontro che dura per tutta la vita tra Deva umani ed Asura umani, gli uomini di potere : da una parte i figli degli Dei, che sono governati dalla luce, da un alto Dharma etico, e dall’altra i Titani incarnati, gli uomini di potere che sono decisi a servire il loro ego intellettuale, vitale e fisico. La mente antica, più aperta della nostra alla verità delle cose al di là del velo, vide dietro la vita degli uomini grandi poteri cosmici o esseri rappresentativi di certe direzioni o gradi della Shakti universale, divini, titanici, giganteschi, demoniaci e uomini che rappresentarono in sé stessi fortemente questi tipi di natura e che furono considerati Deva, Asura, Rakhasas, Pisachas. La Gita, in base ai suoi fini, riprende queste distinzioni e sviluppa le differenze tra questi due generi di esseri, dvau bhutasargau. Essa ha parlato precedentemente delle nature Asuriche e Rakhasiche che impediscono la conoscenza di Dio, la salvezza e la perfezione; ora oppone ad esse la natura Devica che è volta a queste realtà divine.
Arjuna, dice il Maestro, è di natura Devica. Egli non deve addolorarsi pensando che accettando la battaglia ed il massacro si sottometterà agli impulsi dell’Asura. L’azione verso cui tutto si volge, la battaglia che Arjuna deve combattere con la Divinità incarnata come suo auriga, seguendo il comando del Signore del mondo nella forma dello Spirito-del-Tempo, è un conflitto per instaurare il regno del Dharma, l’impero della Verità, del Diritto e della Giustizia. Egli stesso ( Arjuna ) è nato nel genere Devico, ha sviluppato in sé stesso l’essere sattwico, fino a quando, ora, è arrivato al punto in cui è capace di un’alta trasformazione e liberazione dal traigunya, e quindi anche dalla natura sattwica. La distinzione tra i Deva e gli Asura non è comprensiva di tutta l’umanità, non è applicabile in modo rigido a tutti i suoi individui, né è netta e definita in tutti gli stadi della storia morale o spirituale della razza o in tutte le fasi dell’evoluzione dell’individuo. L’uomo tamasico, che costituisce una parte così ampia dell’insieme dell’umanità, non cade in nessuna delle due categorie così come vengono qui descritte, sebbene possa avere in sé entrambi gli elementi ad un basso grado, e per lo più servire “debolmente” le qualità inferiori. L’uomo normale è di solito una mescolanza delle qualità; ma una o l’altra tendenza è più pronunciata, e tende a renderlo in modo predominante o rajasico-tamasico o sattwo-rajasico e si può dire che lo prepari per uno dei due risultati : per la divina chiarezza o il titanico disordine. Poiché qui ciò che è in discussione è un certo risultato nell’evoluzione della natura qualitativa, come risulterà evidente dalle descrizioni date nel testo. Da un lato ci può essere la sublimazione della qualità sattwica, il coronamento o manifestazione del Deva non nato, dall’altro l’esaltazione della parte rajasica dell’anima nella natura, la nascita completa dell’Asura. Una conduce verso quel movimento di liberazione su cui la Gita sta per porre l’accento : questo rende possibile un alto auto-superamento-di-sé della qualità del Sattva ed una trasformazione a somiglianza dell’essere divino, vimokshaya. L’altra trascina via da questa universale potenzialità e fa precipitare verso una dismisura del nostro legame nei confronti dell’ego. Questo è il punto che le distingue. La natura Devica si distingue per un acme delle abitudini e qualità sattwiche : auto-controllo, sacrificio, habitus religioso, pulizia e purezza, candore e dirittura, verità, calma, abnegazione, compassione nei confronti di tutti gli esseri, modestia, gentilezza, perdono, pazienza, tenacia, una profonda dolce e seria libertà da qualsiasi agitazione, frivolezza ed incostanza sono i suoi attributi nativi. Le qualità Asuriche : rabbia, avidità, astuzia, tradimento, volontaria azione dannosa nei confronti degli altri, orgoglio ed arroganza, eccessiva auto-stima, superficialità ed incostanza, non hanno luogo nella sua costituzione ( Devica ). Ma la sua gentilezza, abnegazione ed auto-controllo sono anche libere da ogni debolezza : egli ha energia e forza d’animo, forte risolutezza, e l’assenza di paura dell’anima che vive nel giusto e in accordo con la verità, così come la sua non-offensività, tejah, abhayam, dhrtih, ahimsa, satyam. L’intero essere, l’intero temperamento è integralmente puro, c’è ricerca della conoscenza e un calmo e stabile dimorare nella conoscenza. Questa è la ricchezza, la pienezza dell’uomo nato nella natura Devica.
Anche la natura Asurica ha la sua ricchezza, la sua pienezza di forza, ma è di un genere molto differente, potente e malvagio. L’uomo Asurico non ha vera conoscenza del modo di agire e del modo di astenersi dall’azione, del compimento o della conservazione della natura. In lui non c’è Verità, non c’è azione pulita, non c’è un’osservanza fedele. Egli vede in modo naturale, nel mondo, nient’altro che un grande gioco per la soddisfazione di sé, il suo è un mondo che ha per causa, per seme, e per legge e forza che governa, il Desiderio, un mondo del Caso, un modo privo di giusta relazione e Karma interconnesso, un mondo senza Dio, non vero, non fondato sulla Verità. Qualunque miglior dogma altamente religioso o intellettuale ( essi ) possano possedere, solo questo è il vero credo della loro mente, della loro volontà nell’azione : essi seguono sempre il culto del Desiderio e dell’Ego. In realtà essi propendono verso questo modo di vedere la vita e per effetto della sua falsità rovinano le loro anime e la loro ragione. L’uomo Asurico diviene il centro o strumento di un’azione feroce, Titanica, violenta, un potere di distruzione nel mondo, una fonte di danno e male. Arrogante, pieno di auto-stima e dell’ubriacatura del suo orgoglio, quest’anima fuorviata illude sé stessa, persiste in scopi falsi in modo accanito, e persegue la fissa, impura risolutezza delle sue brame. Immagina che il desiderio ed il piacere rappresentino lo scopo intero della vita e nel perseguirlo in modo caotico ed insaziabile è preda di un incessante, divorante e smisurata pena e preoccupazione, sforzo ed ansia fino al momento della sua morte. Legato da centinaia di legami, divorato dall’ira e dalla lussuria, instancabilmente occupato ad ammassare ingiusti profitti che possano servire il suo piacere e la soddisfazione dei suoi ardenti desideri, sempre pensa : “Oggi ho guadagnato questo oggetto di desiderio, domani avrò quest’altro, oggi ho questo quantitativo di ricchezza, ne otterrò di più domani. Ho ucciso questo mio nemico, anche gli altri miei nemici ucciderò. Sono il signore e re degli uomini, sono perfetto, completo, forte, felice, fortunato, un essere privilegiato che gode del mondo, sono ricco, sono di alta nascita; chi è uguale a me ? Sacrificherò, darò, godrò.” Così occupato da innumerevoli idee egoistiche, illuso, compiendo le azioni, ma compiendole in modo erroneo, agendo potentemente, ma per sé stesso, per il desiderio, per il piacere, non per Dio in sé stesso e Dio nell’uomo, precipita nell’inferno immondo del suo stesso male. Sacrifica e dà, ma per una ostentazione egoistica, per vanità e con orgoglio inflessibile e stolto. Nell’egoismo della sua forza e potere, nella violenza della sua ira e arroganza, odia, disprezza e sminuisce il Dio nascosto dentro di lui e il Dio nell’uomo. E poiché ha questo odio orgoglioso e disprezzo per il bene e per Dio, poiché è crudele e malvagio, il divino lo precipita continuamente in nascite sempre più Asuriche. Poiché non cerca Dio non lo trova, ed infine, perdendo del tutto la via che conduce a Lui, sprofonda nello status più basso della natura dell’anima, adhamam gatim.
Questa descrizione grafica, anche dando il suo intero valore alla distinzione che implica, non deve essere spinta a contenere, a portare in sé, più di ciò che significa. Quando viene detto che ci sono due creazioni di esseri in questo mondo materiale, Deva ed Asura, ciò non significa che le anime umane vengono create in tal modo da Dio fin dall’inizio, ciascuna con la sua inevitabile carriera nella Natura, né significa che c’è una rigida predestinazione spirituale e che quelle che vengono rifiutate dal Divino fin dall’inizio vengono da Egli stesso accecate in modo che possano essere gettate nell’eterna perdizione ed impurità dell’Inferno. (3)
(3) La distinzione tra le due creazioni manifesta la sua piena verità nei piani sopra-fisici, dove la legge dell’evoluzione spirituale non governa il movimento. Ci sono mondi di Deva, mondi di Asura, e vi sono in questi mondi, dietro di noi, “tipi” di esseri costanti che sostengono il gioco divino completo della creazione, indispensabile alla marcia dell’universo, e proiettano la loro influenza sulla terra e sulla vita e natura dell’uomo, in questo piano fisico di esistenza.
Tutte le anime sono eterne parti del Divino, l’Asura tanto quanto il Deva, e tutte possono raggiungere la salvezza : anche il più grande peccatore può volgersi verso il Divino. Ma l’evoluzione dell’anima nella Natura è un’avventura in cui lo Swabhava ed il Karma governato dalla Swabhava, sono sempre i poteri principali e se un eccesso nella manifestazione dello Swabhava, il divenire in sé dell’anima, un disordine nel suo gioco, volge la legge dell’essere verso il lato perverso, se alle qualità rajasiche viene dato libero gioco, coltivate a danno del Sattwa, allora la direzione del Karma ed i suoi risultati necessariamente non culminano nell’altezza sattwica che è capace di muoversi verso la liberazione, ma nella più accentuata esagerazione delle perversioni della natura inferiore. L’uomo, se non si ferma rapidamente ed abbandona il suo cammino erroneo, vede infine l’aspetto Asurico emergere completamente in lui, una volta che ha preso questa smisurata direzione voltando le spalle alla Luce e alla Verità, non può più invertire la velocità fatale di questa corsa a causa della stessa immensità del potere Divino abusato in lui, fino quando non ha scandagliato le profondità in cui è caduto, toccato il fondo e visto dove questo cammino lo ha condotto, esaurito e dissipato il potere, egli stesso caduto nello stato più basso della natura dell’anima, che è l’Inferno. Solo quando comprende ( ciò che è accaduto ) e si volge verso la Luce, l’altra verità della Gita emerge : che anche il più grande peccatore, il più impuro e violento criminale, viene salvato nel momento in cui si volge a seguire e ad adorare, la Divinità che è anche dentro di lui. Allora, semplicemente per effetto di questo cambiamento, egli ottiene rapidamente la condizione sattwica che conduce alla perfezione e alla libertà. La Prakriti Asurica è l’acme della qualità rajasica; conduce alla schiavitù dell’anima nella Natura, al desiderio, all’ira e all’avidità, i tre poteri dell’ego rajasico, e queste sono le tre porte dell’Inferno, l’Inferno in cui l’essere naturale cade quando indulge nell’impurità, nel male e nell’errore dei suoi istinti inferiori o pervertiti. Queste tre sono, di nuovo, le porte verso una grande oscurità, risospingono indietro verso il Tamas, il caratteristico Potere dell’Ignoranza originaria, poiché la forza sfrenata della natura rajasica quando è esaurita, ricade nella debolezza, subisce un crollo, cade nell’oscurità, nell’incapacità del peggiore stato d’animo tamasico. Per sfuggire da questa caduta bisogna liberarsi di queste tre forze malvagie e volgersi verso la luce della qualità sattwica, vivere seguendo ciò che è giusto, in accordo alle vere relazioni, in accordo alla Verità e alla Legge; allora si segue il proprio bene più alto, e si arriva al più alto status dell’anima. Seguire la legge del desiderio non è la vera legge della nostra natura, c’è un livello più alto e più giusto per le sue azioni. Ma dove è incorporato e come lo si può trovare ? In primo luogo, la razza umana ha sempre cercato questa Legge giusta ed alta, e qualsiasi cosa abbia scoperto l’ha incorporata nei suoi Shastra, nelle sue leggi della scienza e della conoscenza, leggi dell’etica, leggi della religione, leggi della vita sociale migliore, leggi delle proprie giuste relazioni con l’uomo, Dio e la Natura. Shastra non sta a significare una massa di costumi, alcuni buoni, alcuni cattivi, seguiti in modo non intelligente dalla mente di routine abituale dell’uomo tamasico. Shastra è la conoscenza e l’insegnamento esposto dall’intuizione, l’esperienza e la saggezza, l’arte, la scienza e l’etica della vita, i migliori modelli a disposizione della razza. L’uomo risvegliato a metà, che abbandona l’osservanza della sua legge per seguire la guida dei suoi istinti e desideri, può ottenere il piacere ma non la felicità, perché la felicità interiore può giungere solo grazie ad una vita giusta. Egli non può andare verso la perfezione, non può acquisire lo status spirituale più alto. La legge dell’istinto e del desiderio sembra essere la prima legge nel mondo animale, ma l’umanità dell’uomo cresce grazie alla ricerca della verità, della religione, della conoscenza e di una vita giusta. Lo Shastra, il Diritto riconosciuto che egli ha istituito per governare le sue caratteristiche inferiori attraverso la sua ragione e volontà intelligente deve quindi, in primo luogo, essere osservato e reso l’autorità in merito alla condotta e alle azioni ed in merito a ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere fatto fin quando l’istintiva natura di desiderio non sia controllata e calmata e ridotta al silenzio per effetto dell’abitudine all’autocontrollo : allora l’uomo è pronto, in primo luogo, per una guida di sé libera ed intelligente e poi per la legge suprema più alta della suprema natura spirituale.
Poiché lo Shastra nel suo aspetto ordinario non è questa legge spirituale, sebbene nel suo punto più vasto, quando diviene scienza e arte di vita spirituale, Adhyatma-Shastra, – la Gita stessa descrive il proprio insegnamento come il più alto ed il più segreto Shastra – esso formuli una legge della trascendenza di sé della natura sattwica e sviluppi la disciplina che guida verso la trasmutazione spirituale. Ma ogni Shastra è istituito su una serie di condizioni preparatorie, Dharma, è un mezzo non un fine. Il fine supremo è la libertà dello spirito quando abbandonando tutti i Dharma l’anima si volge verso Dio come sua sola legge di azione, e agisce direttamente dalla volontà divina, vive nella libertà della natura divina, non nella Legge, ma nello Spirito. Questo è lo sviluppo dell’insegnamento che si prepara con la domanda di Arjuna che seguirà.
Tratto da L’OPERA COMPLETA DI SRI AUROBINDO – “ESSAYS ON THE GITA” – Volume19 Pubblicato dal Dipartimento delle Pubblicazioni dello Sri Aurobindo Ashram
Pondicherry – India
Libera traduzione dall’inglese all’italiano di Devadatta e Kiriti – Chiaravalle 8 agosto 2022